14/10/2023

3 cose da tenere a mente quando si progetta un biglietto da visita

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Andrea Piroli - Biglietto da Visita
Andrea Piroli - Biglietto da Visita

3 cose da tenere a mente quando si progetta un biglietto da visita

Avevo bisogno di un biglietto da visita da un po’: quando mi sono messo in testa di sistemare il portfolio ho dato quasi per scontato che nel 2023 mi sarebbe bastato uno strumento digitale per entrare in contatto con nuove aziende e per far vedere il mio lavoro. Mi sono reso conto presto, invece, di quanto un biglietto da visita abbia ancora la sua importanza e di quanto averne uno avrebbe reso più semplici certe interazioni.

Per far vedere un portfolio basta un QR code o un link, ma nelle ultime conversazioni avute con clienti nuovi ho notato che mancava l’idea di conservare il contatto che stavo scambiando: l’interazione che porta a salvare il contatto in rubrica mi sa di macchinoso, di scomodo. L’idea di lasciare solamente il link, di effimero, perché un link si perde facilmente in una cronologia.
Tornando a casa dopo certe conversazioni, sapendo che avrei fatto io un follow-up per mail, mi sono comunque messo nei panni delle persone a cui avevo lasciato il mio portfolio. Me li sono immaginati a pensare “aspe’, come si chiamava il sito? Fammi ritrovare il link”, e cercare nella cronologia il mio nome, perché non do per scontato che uno ricordi il link che è stato riferito.

La necessità di un biglietto da visita per me è nata così.
Nei ristoranti e nei cocktail bar li prendo sempre, li chiedo sempre, semplicemente per il gusto di vederne la carta e di cercare il raccordo tra l’esperienza in-loco e la brand identity del locale.
In occasioni di scambio contatti però i biglietti non sono un vezzo, ma cosa utile, una sorta di facilitatore.

È il 2023, ma i biglietti da visita sono forse ancora un buon biglietto da visita.
Per questo mi sono messo a progettare i miei.
Facendolo, ci sono tre cose su cui mi sono ritrovato a ragionare.

Primo, la scelta della carta e della tecnica di stampa fa tutto.

Quando porti in stampa un progetto ci sono tre cose che devi pensare: la tecnica di stampa; il peso e il tipo di carta; le nobilitazioni.

Sulla tecnica di stampa.

La tecnica di stampa influisce sulla resa dei colori e sulla pulizia delle linee.
Una stampa digitale è comoda per i progetti in cui la quantità importa più della qualità; una stampa off-set assicura una precisione maggiore. Costa di più per un motivo.

Sul peso e sul tipo di carta.

Il peso della carta influisce su due fattori: usabilità e percezione.
Una carta leggera, come un 100gr/m3, è perfetta per i volantini, permette una piega veloce e va benissimo per quei materiali di comunicazione che sono da tenere con sé il tempo di una passeggiata.
I 150 e i 200gr sono ottimi per la stampa di mappe, pieghevoli, brochure e materiale da consegnare in uno stand o durante un evento o una mostra, al botteghino.

I biglietti da visita vengono solitamente stampati su una carta da 300gr/m3. Un peso del genere assicura una buona resistenza.
Pesi maggiori non servono per la resistenza, ma per un discorso valoriale.
Il gioco è qui.
300gr dicono sono flessibile, 400gr dicono sono solido. Pesi maggiori dicono non sono per tutti.
Il peso di una carta influisce sul carattere del prodotto. Lo rende commerciale e quotidiano o ricercato e sofisticato.

Per i miei, ho scelto un 400. Non si piega in mano, ma non risulta neanche troppo statico.
Tipo di carta? Riciclata, bianca, non patinata.

La patinatura della carta aiuta a “rendere più pop” i colori, a dare più carattere alla stampa di illustrazioni e offre un layer di protezione alla stampa.
Tendenzialmente, per i materiali pubblicitari, una carta patinata è il go-to su cui non ci si sbaglia.
Per i biglietti da visita, una carta del genere dice solamente c’ho speso 20 euro e ne ho fatti 3.000, motivo per cui una stampa simile la sconsiglierei quasi a occhi chiusi, per un biglietto da visita.

Una carta colorata può essere un salto di qualità enorme: stampare un biglietto per un’azienda green su una Fedrigoni Verdigris penso sia l’equivalente di indossare un Patek Philippe—più o meno, è un po’ un’iperbole ma ci siam capiti.
Per dire, mi immagino il biglietto da visita della Fornarina su una Materica Clay: la carta riprenderebbe i colore del brand e darebbe un accenno di garbo, lusso e calore al biglietto in maniera sobria e distintiva.

Una carta riciclata, piuttosto che una martellata o telata, come quelle dei biglietti da visita di Patten in American Pshyco, raccontano del gusto e dell'alto posizionamento di un’azienda o di un professionista.
Un biglietto martellato lo immagino bene per un avvocato, ma fuori dai mondi più garbati e dalle professioni che richiedono più serietà composta, rischia di dare un’immagine vetusta, se non dissonante o pacchiana. Handle with care.

Questo per dire che, prima di tutto, il biglietto da visita è un oggetto fisico, da rigirare tra le mani, da assaporare con gli occhi e con il tatto.Non è il design grafico, ma il design nel senso di progettazione che, a parer mio, rendono un biglietto da visita più o meno valido.
E la progettazione, in questo senso, si fa carta alla mano, letteralmente.

Secondo, è difficile che un carattere non sia leggibile.

Arial 10 è lo standard per le tabelle excel, Times New Roman 12 lo standard per un documento word.
In stampa i numeri cambiano, già solo perché gli occhi sono a una distanza diversa da quella a cui si guarda uno schermo da 24”.
Quello che sembra illegibile su schermo in stampa spesso risulta chiaro.

Mentre progettavo i biglietti, ho avuto paura, per un po’, a portare il testo delle informazioni secondarie verso i 6 punti tipografici.
Poi ho fatto quello che consiglio sempre quando mi viene chiesto se un testo non sia troppo piccolo: “hai provato a stamparlo?”.
Stampandolo ho sorriso, e mi sono reso conto una volta in più di quanto la progettazione digitale sia comodissima, ma abbia il suo spazio all’interno della realizzazione di un prodotto.
La parte di prototipazione, se così vogliamo chiamarla, è da fare in maniera tangibile e pratica.
Me lo tengo come memento una volta in più.

Terzo, nell’idea che la creatività è potenzialmente limitata, la coerenza è ciò che conta di più.

Un biglietto da visita ha poco da essere innovativo: ho sicuramente visto esempi di creatività estremi e piacevolissimi (come il biglietto-specchio di un make-up artist romano), ma perlopiù, ho trovato che i biglietti migliori sono quelli più semplici.
Chiari, belli, puliti, pratici.

Che ci siano icone social, ma per favore evitiamo i QR Code se possono essere sostituiti da un link semplice o da un handle.
Che ci siano illustrazioni e segni grafici; marchi e loghi, ma niente foto; dipinti; esplorazioni artistiche che non servono a rendere chiara e distintiva l’esperienza del biglietto.

Rule of thumb qui: KISS e coerenza.

KISS perché, come mi insegnò Andrea Natella, Keep It Simple and Stupid è il mantra che funziona meglio, quando si parla di progettazione. Coerenza perché, alla fine, un biglietto da visita è un biglietto da visita, e il suo scopo è quello di creare un contatto e aprire una porta: l’esplorazione di brand la si fa poi nei prodotti, negli store, nei siti web. Lo scopo di un biglietto da visita è anticipare quell’esperienza con forme, colori, marchi e tipografia. Fine.
Se il biglietto sa anticipare quest’esperienza, se sa essere chiaro e utile, semplice e stupido, allora ha svolto il suo ruolo.

Il resto è vezzo. Velleità, dicevano.

Fine dello spiegone.
I biglietti da visita mi sono arrivati ieri.
Li ho messi in un portacarte splendido che trovai in un mercatino dell’antiquariato vicino Pesaro, lo stesso dove ho trovato il libro di botanica di cui ho ridisegnato la copertina.
Mi piacciono, li trovo funzionali.

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